Cibo

In Calabria un itinerario del gusto nei luoghi di Federico II di Svevia

Roseto Capo Spulico (CS)

Tra castelli e buona cucina un tour culturale ed enogastronomico da Rocca Imperiale a Nicotera sulle orme di Federico II di Svevia in Calabria

Federico Ruggero di Hohenstaufen, figlio di Enrico IV di Svevia e Costanza D’Altavilla, re della Sicilia, è stato ribattezzato stupor mundi, ovvero ‘meraviglia, stupore del mondo’ per via della sua vivacità intellettuale.

Federico II di Svevia miniatura
Federico II, miniatura tratta dal manoscritto ‘De arte venandi cum avibus‘, 1220-1250 circa (Fonte: storicang.it)

Nacque nel 1194 a Jesi e, ancora bambino, ereditò un impero vastissimo.

Presso la sua corte venivano coltivate molte discipline ed attività sia artistiche che scientifiche; fra queste la musica, la poesia, l’astrofisica e persino la caccia col falcone, suo passatempo preferito per studiare la natura.

Nel 1224 Federico II istituì a Napoli una scuola di diritto e riorganizzò la Scuola Medica Salernitana.

Raccolse attorno alla Magna Curia di Palermo i poeti della cosiddetta ‘Scuola Siciliana’, dando origine alla letteratura italiana in volgare riconosciuta da Dante e da Petrarca.

Federico II di Svevia ha lasciato tracce del suo passaggio anche in Calabria; da nord a sud della regione si racconta soprattutto attraverso le architetture dei castelli da lui voluti a scopo prettamente difensivo.

I comuni maggiormente interessati alla sua presenza sono Rocca Imperiale (Cs), Amendolara (Cs), Oriolo (Cs), Roseto Capo Spulico (Cs), Cerchiara di Calabria (Cs), San Marco Argentano (Cs), Cosenza, Crotone, Vibo Valentia e Nicotera (Vv).

Ripercorrendo le tappe di Federico II in Calabria possiamo immergerci nella cultura e nella bellezza di questi luoghi, ammirare i resti della storia e gustare prodotti e piatti tipici della tradizione.

  1. Rocca Imperiale (CS)

Al confine con la Basilicata lungo la costa ionica cosentina, dall’alto di un poggio si erge Rocca Imperiale; il nome porta in sé il cuore di questo centro, ovvero la fortezza fatta costruire da Federico II nel XIII secolo.

E’ un borgo medievale pittoresco dove le case sono disposte a gradinata ai piedi della fortezza, caratterizzato da viottoli e ripide salite; un colpo d’occhio non indifferente.

Rocca Imperiale (CS)
Rocca Imperiale (Fonte: borghipiubelliditalia.it)

Rocca Imperiale è uno dei Borghi più belli d’Italia ed è diventato famoso per il suo Limone, oggi prodotto IGP.

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Coltivato qui sin dal XVII secolo ed appartenente alla cultivar Femminiello Comune della specie botanica Citrus limon, il Limone di Rocca Imperiale IGP è noto anche come ‘Antico o Nostrano di Rocca Imperiale’.

Limone di Rocca Imperiale IGP
Il Limone di Rocca Imperiale IGP

Di colore giallo intenso e con un profumo straordinario si contraddistingue da altri limoni[1]; il territorio di Rocca Imperiale gode di un microclima ideale alla coltivazione di piante da frutto e in particolare del limone.

Rocca Imperiale offre un’ampia gastronomia: dai primi, come i frizzuli con la mollica[2] o i laganelli con i ceci, alle majatiche[3], alla salsiccia tradizionale, ai peperoni cruschi, alla bambata[4] agli incasatill[5].

  1. Roseto Capo Spulico (CS)

Come tutti i paesi dell’Alto Ionio cosentino, Roseto Capo Spulico gravita attorno ai fasti magnogreci della vicina colonia di Sibari; simbolo di questa località è oggi il bellissimo Castrum Petrae Roseti.

Roseto Capo Spulico (CS)
Il Castrum Petrae Roseti (Fonte: calabriafilmcommission.it)

Un castello federiciano che si erge maestoso su una roccia a picco sullo Ionio, in posizione strategica; fu edificato da Roberto il Guiscardo e ricostruito da Federico II nel XIII secolo.

Gli stemmi della rosa e dei gigli presenti sull’arco di accesso alle mura difensive sono da ricondurre alla presenza dei Templari; ciò aggiunge ancora più fascino a questo luogo già così suggestivo.

Recenti studi ipotizzano persino che la torretta centrale del castello abbia ospitato per molti anni la Sacra Sindone e le Sacre Bende, ereditate dall’imperatore da suo nonno Federico Barbarossa.

Roseto Capo Spulico si chiama così perché in epoca romana qui si diffuse la coltura delle rose (rosetum); è anche la patria della Ciliegia De.Co. di Roseto, nominata nel 2016 ‘la più bella d’Italia’[6].

Ciliegie di roseto De.Co.

A Roseto è da assaggiare un piatto povero della tradizione, ovvero la licurdia[7] (‘a ghecurde); immancabile il buon pesce e la sardella o rosamarina, il ‘caviale dei poveri’.

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  1. Oriolo (CS)

Noto nel 1017 con il nome di kàstron Ourzoulon, Oriolo nacque come città fortificata a difesa dei cittadini scappati dalle coste ioniche per rifugiarsi dalle continue incursioni saracene che durarono fino al Seicento.

Attorno all’anno Mille era già una civitas e sede notarile; oggi conserva un bellissimo borgo medievale intatto con la chiesa Madre dedicata a San Giorgio, di origine normanna; resse ad un terribile terremoto nel 1693.

Posto alle falde del Pollino, Oriolo fa parte dei Borghi più belli d’Italia ed è cresciuto attorno al suo castello dalla pianta quadrangolare e dalle torri in stile normanno, posseduto da Federico II nel 1221.

Oriolo (CS)
Oriolo (Fonte: e-borghi.com)

La cucina tipica è quella contadina; sono da segnalare tre prodotti De.Co.: il Capretto (da latte)[8], i Taralli[9] (al finocchietto) e l’Olio d’Oliva di Oriolo.

  1. Amendolara (CS)

Il nome di Amendolara deriva quasi sicuramente dal greco amygdalaria (mandorlai) per via dell’elevata produzione di mandorle che caratterizzava sin dall’antichità questo comune dell’Alto Ionio cosentino.

Infatti la Pizzutella (o Pizzuta) di Amendolara è la varietà di mandorla originaria del territorio e prodotto De.Co. che punta al riconoscimento della DOP per le sue qualità d’eccellenza.

Mandorle

Amendolara ha una storia molto lontana; secondo alcuni il ‘Monte Sardo’, isolotto sprofondato da alcuni secoli dove oggi si trova La Secca, sarebbe addirittura la mitica Ogigia, l’isola della ninfa Calipso.

Anche Amendolara è luogo federiciano; il suo castello fu costruito tra l’VIII e il IX secolo, restaurato nel XIII secolo da Federico II; questo diventò la Domus Imperialis più importante nella zona tra la Calabria e la Puglia.

Oltre alle mandorle Amendolara si distingue per i crostacei: nella Secca, infatti, per pochi mesi all’anno, si pescano delle meravigliose aragoste considerate fra le migliori d’Italia.

Aragoste della Secca di Amendolara
Le aragoste della Secca di Amendolara (Fonte: tripadvisor)

Nella gastronomia di Amendolara troviamo la pasta fatta a mano come rascjcatilli e ferrazzuoli, poi pastizzi[10], minestra all’aneto (licurd cc’ a siccirr) e fra i dolci spiccano cannaricoli[11] e pasticcini, ovviamente alla mandorla.

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  1. Cerchiara di Calabria (CS)

Arroccato alle falde del monte Séllaro a oltre 700 metri s.l.m, Cerchiara di Calabria domina la piana di Sibari coi resti del suo castello medievale; le origini del nome sono ancora incerte[12].

Fu sicuramente un sito preellenico mentre l’attuale abitato risale al periodo bizantino (X secolo), quando era indicato col nome di Circlanum al centro di una zona monastica di grande importanza.

A Cerchiara si trova il santuario di Santa Maria delle Armi, un complesso scavato in parte nella roccia, che ingloba la grotta che custodisce in una teca d’argento la miracolosa immagine nera della Madonna[13].

Cerchiara di Calabria (CS)
Cerchiara, la chiesa di Santa Maria delle Armi

Del castello di Cerchiara restano solo stralci di mura; fu costruito nel ‘300 e le caratteristiche architettoniche in ‘stile dugentesco’[14] fanno pensare a Federico II di Svevia.

Cerchiara di Calabria è famoso anche per il suggestivo complesso termale della Grotta delle Ninfe, nato grazie alle sorgenti di acqua sulfurea che qui sgorgano naturalmente, frequentate già dagli antichi sibariti.

A livello gastronomico Cerchiara è la Città del Pane; questo prodotto diventato De.Co. è un patrimonio culturale tramandato da secoli fra le donne che sono, fra l’altro, le titolari di tutti i forni del paese.

Pane di Cerchiara (Cs)
Il Pane di Cerchiara (Cs)

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  1. San Marco Argentano (CS)

Siamo ancora in provincia di Cosenza, nella valle del fiume Fullone a cavallo della via istmica che collega lo Ionio al Tirreno: qui sorge San Marco Argentano, l’antico Argentanum, zona di estrazione d’argento.

San Marco Argentano mantiene intatte le caratteristiche di una città normanna; nel 1048 Roberto Il Guiscardo assedia e conquista la città trasformandola in una fortezza.

San Marco fu inoltre luogo di incontro tra tanti uomini di chiesa che hanno lasciato tracce indelebili del loro passaggio; di grande pregio è l’abbazia di Santa Maria della Matina, gioiello di architettura cistercense.

San Marco Argentano (CS)
Interno dell’abbazia di Santa Maria della Matina a San Marco Argentano

La figura di Federico II di Svevia si intravede nella Torre Normanna, detta di Drogone, principale monumento architettonico e storico.

La Torre venne modificata da Federico II in base ai suoi usi; fu trasformata in prigione dove fu rinchiuso il figlio, Enrico Lo Sciancato.

San Marco Argentano (CS)
San Marco Argentano, la Torre di Drogone

Di San Marco Argentano sono celebri i pupazzi arraganati (peperoni secchi fritti)[15]; la varietà di peperone utilizzato è quello Roggianese a mezzo corno, che prende il nome dal vicino centro di Roggiano Gravina.

  1. Cosenza

Chiamata la Capitale dei Bruzi, Cosenza conserva un centro storico scenografico il cui cuore è rappresentato da un antichissimo Duomo in stile romanico costruito nell’XI secolo.

Duomo di Cosenza
Il bellissimo Duomo di Cosenza dell’XI secolo

Federico II amava molto Cosenza; sotto di lui il Duomo fu consacrato e vi fece seppellire il figlio primogenito Enrico VII; dalla cima del Colle Pancrazio svetta poi l’imponente castello normanno-svevo.

Cosenza centro storico
Il centro storico di Cosenza e il Castello normanno-svevo che svetta da Colle Pancrazio

Le mura secolari del castello di Cosenza conservano ancora oggi i caratteri dell’architettura militare sveva; ha pianta rettangolare con cortile centrale e una torre angolare residua a pianta ottagonale.

Della buona cucina cosentina ho parlato in un altro post (LEGGI QUI) e anche del suo dolce tipico, la varchiglia alla monacale (LEGGI QUI).

Varchiglia alla monacale Cosenza
La Varchiglia alla monacale e sullo sfondo il Colle Pancrazio di Cosenza

Sempre da Cosenza si può partire per scoprire le Terre di Cosenza DOP, ovvero tutte le bellissime realtà vitivinicole sparse tra il nord e il sud della provincia (LEGGI QUI).

  1. Crotone

Tornando sulla costa ionica, lungo quel tratto chiamato Costa dei Saraceni, arriviamo a Crotone, una delle grandi potenze della Magna Grecia e città di Pitagora; nel Medioevo fu prima bizantina e poi normanna.

Federico II restaurò il porto e il castello in virtù della loro particolare posizione strategica; la custodia della struttura difensiva fu affidata al nipote di Giordano Ruffo di Calabria, che curava le sue scuderie.

Crotone
Il Castello di Crotone (Fonte: it.wikipedia.org)

Tra cultura e arte, Crotone si scopre anche attraverso la sua enogastronomia; tra sapori di mare e montagna troviamo salumi e formaggi, tra cui il Pecorino Crotonese DOP e piatti di pesce come u cuadaru[16] e la sardella.

Nell’areale di Crotone viene prodotto un pane buonissimo e rinomato, quello di Cutro (LEGGI IL POST) e il vino simbolo della Calabria, il Cirò DOC.

  1. Vibo Valentia

Capoluogo della provincia più piccola della Calabria, Vibo Valentia è stata una colonia magnogreca sotto il nome di Hipponion di cui ne sopravvivono le testimonianze archeologiche.

Il territorio di Vibo da un lato abbraccia i monti delle Serre e dall’altro si affaccia sul mar Tirreno, lungo la splendida Costa degli Dèi che da Pizzo arriva fino a Nicotera.

Il centro storico della città è un intreccio di chiese, monumenti ed edifici medievali, barocchi e ottocenteschi; sull’acropoli dell’antica Hipponion venne costruito il castello normanno.

Vibo Valentia
Il Castello di Vibo Valentia (Fonte: .beniculturali.it)

Le parti del castello riferibili al periodo di Federico II non sono numerose ma sono molto significative come, ad esempio, la torre angolare detta ‘torre mastra’.

Le tradizioni enogastronomiche della zona di Vibo sono particolarmente ricche; tra le sue specialità spiccano il tonno, la ‘nduja (LEGGI IL POST) e il ricercatissimo Tartufo di Pizzo (LEGGI IL POST).

Tartufo di Pizzo
Sua maestà il Tartufo di Pizzo

Dobbiamo menzionare poi il Pecorino del Monte Poro DOP e i fagioli di Caria (la sujaca di Caria), legume dalle eccellenti caratteristiche.

LEGGI ANCHE ILPOST SUI FAGIOLI DI CALABRIA

Inoltre, se passate da Vibo Valentia a Pasqua dovete assaggiare le Pitte Pie[17], dolci tipici di questo periodo dell’anno.

Pitte Pie Vibo Valentia
Le Pitte Pie di Vibo Valentia

La produzione vinicola del vibonese si è ampliata molto grazie al ripristino della coltivazione dello zibibbo, uva da sempre presente in questi luoghi e diventato Presidio Slow Food ‘Zibibbo di Pizzo.

  1. Nicotera (VV)

Anche dal borgo di Nicotera c’è un meraviglioso affaccio sulla Costa degli Déi: l’abitato è arroccato su un colle da cui di vedono chiaramente le Isole Eolie e lo Stretto di Messina.

Il centro storico di Nicotera nasconde tesori culturali di grande valore storico come la Cattedrale e il castello; quest’ultimo sorge sulle rovine della fortezza sveva-angioina con torri angolari e grandi terrazze.

Fu edificato nell’XI secolo da Ruggero il Normanno ma è sotto Federico II che venne ampliato e fortificato secondo i canoni artistici degli svevi.

Nicotera (VV)
Nicotera e il suo Castello (Fonte: tripadvisor)

Proprio a Nicotera il fisiologo americano Ancel Keys studiò ed elaborò la Dieta Mediterranea: tra gli abitanti di questo paese vi era infatti il tasso più basso di malattie cardiovascolari grazie alla loro sana alimentazione.

LEGGI ANCHE IL POST SULLA DIETA MEDITERRANEA

Ancora adesso la gastronomia del luogo si basa su prodotti della terra di ispirazione contadina; fa da padrona la pasta fatta in casa, i maccarruna ‘i casa o fileja (LEGGI IL POST), col sugo semplice o di carne.

Maccarruni a firrettu

Tra i dolci della tradizione ci sono quelli legati alle feste religiose come i nacatuli[18](nacatole) del periodo natalizio e i taraji (cuzzupe) del periodo pasquale (LEGGI IL POST).

LEGGI ANCHE IL POST: UN TOUR ENOGASTRONOMICO IN CALABRIA

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Bibliografia e sitografia

Itinerari di Federico II di Svevia in Calabria, Koiné Nuove Edizioni, 2010

www.calabriastraordinaria.it

www.oriolo.eu

www.rosetocapospulico.comunitaospitali.it

www.roccaimperiale.info

 

[1] Il frutto ha forma allungata, di medie dimensioni e un peso medio di 100-160 grammi, con alta resa in succo; è pressoché privo di semi ed ha un profumo eccellente.
I risultati delle analisi hanno evidenziato un alto contenuto in limonene e preziose essenze naturali di oli essenziali di particolare aroma. Il sapore è particolarmente gradevole.
Nell’arco dell’annata, il Limone di Rocca Imperiale produce ben tre tipi di frutti derivati da altrettante fioriture: Primofiore (raccolti da maggio a luglio), o Maiolino (raccolti da maggio a luglio) e Verdello (raccolti da agosto a ottobre). – Fonte: www.roccaimperiale.info
[2] I frizzuli sono un tipo di pasta lunga di grano duro rigorosamente fatta con un ferro a sezione quadrata ed essiccata al sole; il sugo, più rosso grazie alla polvere di peperone utilizzata nella preparazione della salsiccia, è un trionfo di sapori ed aromi che sposano perfettamente la croccantezza della mollica, ripassata in padella e leggermente piccante. (Fonte: www.roccaimperiale.info)
[3] Le majatiche sono frittelle di pasta con un saporitissimo cuore di peperone secco. (Fonte: www.roccaimperiale.info)
[4] Focaccia al forno tradizionale con peperoni e pomodoro. (Fonte: www.roccaimperiale.info)
[5] Panzerotti fritti con ripieno di ceci cotti e conditi con varie spezie. (Fonte: www.roccaimperiale.info)
[6] La Ciliegia De.Co. di Roseto si annovera tra le eccellenze dell’agroalimentare calabrese quale prodotto dalle proprietà organolettiche uniche.
Oltre a essere ufficialmente la ‘Ciliegia più bella d’Italia’, la ‘rossa’, simbolo di Roseto, vanta alcune peculiarità che la rendono inconfondibile: il ciliegio di Roseto cresce più a valle rispetto alla quota tradizionale e, grazie alla ventilazione costante della brezza marina, gode di un microclima ottimale, tale da incidere sulla maturazione della ciliegia rosetana, anticipandola rispetto alla stagione di fioritura. (Fonte: www.calabriastraordinaria.it)
[7] La licurdia una semplice zuppa composta da prodotti della terra e pane raffermo, che varia a seconda della stagionalità dagli ortaggi alle verdure o preparata semplicemente con solo cipolla e aneto.
nei periodi invernali viene preparata con verdure come rape, cardi, cicorie, mentre nel periodo primaverile/estivo, viene preparata utilizzando i peperoni.
Nelle famiglie rosetane, tipica è prepararla semplicemente con base di cipolla e uovo fresco di gallina ruspante (‘a gucchie ‘i voje). – Fonte: www.rosetocapospulico.comunitaospitali.it
[8] Le frattaglie e le interiora dei capretti lattanti si utilizzano per la preparazione del susfritt i crapitt o stigljou (soffritto di capretto o stigliola), i capretti interi venivano arrostiti alla brace. Famosa è anche la capicell (testa), divisa i due parti e ricoperta con del pane mollicato condito con spezie e cotta al forno, u sangcill sangue di capretto bollito e poi cotto con peperoni, pomodori, aglio, olio di oliva e origano e i gliommarìll, interiora di capretto annodati. (Fonte: www.oriolo.eu)
[9] Di colore ambrato, friabili e con uno spiccato aroma di finocchietto (l’ingrediente che li caratterizza) i taralli di Oriolo sono preparati lavorando farina di grano tenero, vino bianco, olio extravergine d’oliva, uova, sale e, appunto, semi di finocchio selvatico del posto.
I taralli prima di essere cotti in forno sono lessati in acqua e successivamente cotti in forno a legna. (Fonte: www.oriolo.eu)
[10] I pastizzi sono simili a calzoni e fatti con farina, strutto, sale e pepe, ripieni di carne ed interiora di capretto, conditi con pepe, prezzemolo, aglio e rosolati in olio di oliva con l’aggiunta di salsiccia. (Fonte: www.calabriastraordinaria.it)
[11] Sono grossi gnocchi fatti di farina, pepe nero, vino ed un pizzico di lievito, fritti nell’olio di oliva. (Fonte: www.calabriastraordinaria.it)
[12] Secondo alcuni potrebbe derivare dalla quercia che cresce spontaneamente sul suo territorio (dunque Querciaia, Querciara, Cerchiara); altri invece scomodano il vocabolo semita kirkis (bollente) per la presenza in loco di una sorgente termale sulfurea. (Fonte: www.calabriastraordinaria.it)
[13] Sorge in un sito già anticamente dedicato al culto, come provano reperti risalenti al X secolo, rinvenuti in grotte rupestri del monte Sellaro.
La sua costruzione, secondo la tradizione locale, cominciò nel 1440 allorché nel medesimo luogo, proprio in una di queste grotte, furono trovate alcune tavolette bizantine, tra le più antiche mai rinvenute, e l’immagine della Beata Vergine delle Armi (dal greco tòn armòn – ‘della grotta’), da cui il Santuario prende il nome.
Al suo interno custodisce notevoli opere d’arte e argenterie barocche. (Fonte: www.calabriastraordinaria.it)
[14] Così come la finestra archiacuta che ancora sopravvive su un edificio nei pressi del maniero del quale doveva far parte. (Itinerari di Federico II di Svevia in Calabria, Koiné Nuove Edizioni, pag. 56)
[15] Sono peperoni (dolci o piccanti) essiccati d’estate al sole intrecciati in ‘filare’, e fritti poi d’inverno in olio bollente. Caratteristica peculiari di questo piatto è l’inimitabile croccantezza. (Fonte: www.calabriastraordinaria.it)
[16] Una zuppa di pesce molto ricca cucinata in un paiolo di rame.
[17] Le Pitte Pie sono legate alla tradizione pasquale della zona di Vibo Valentia e non mancano mai sulle tavole in questo periodo dell’anno.
Molto amate dai vibonesi, le Pitte Pie o Pittipìe (o semplicemente Pie) sono composte da due dischi di pasta frolla arricchita da tanti golosi ingredienti: marmellata, fichi secchi, frutta candita, cioccolato, mandorle o noci, vino cotto, cannella, chiodi di garofano.
Un vero tripudio di dolcezza declinato al femminile: il nome Pitte Pie, infatti,
ricorda le tre Marie che accompagnarono Gesù sul Calvario. Hanno poi una forma rotonda con tre fori dai quali si intravede il ripieno, forse proprio per ricordare l’evento evangelico.
Nonostante la ricchezza, le Pitte Pie sono un dolce povero fatto con le provviste preparate durante l’anno.
Simbolo della festa della Resurrezione, sono conosciute anche in altre parti della Calabria, realizzate e chiamate in modi diversi ma sempre deliziose.
[18] Le nacatole prima erano il dolce dei matrimoni: hanno forma ellissoidale con una spirale all’interno riconducibile alla sagoma di un bambino.
Non a caso la parola naca proviene dal greco nakè, che significa ‘culla’.
Era un dolce di buon auspicio per il concepimento di una nuova vita e dunque, per lo stesso motivo, probabilmente è diventato parte della tradizione natalizia.
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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