Prosecco metodo Charmat Martinotti

Dopo quello Classico l’altro processo di spumantizzazione è il metodo Charmat o Martinotti, conosciuto soprattutto per la produzione di uno dei vini italiani più bevuti, il Prosecco

Con i suoi profumi freschi e il suo essere beverino il Prosecco è oggi uno dei vini italiani più amati e apprezzati soprattutto all’estero.

Il Prosecco non è solo un vino; per molto tempo prosecco è stato anche sinonimo del vitigno a bacca bianca con cui viene prodotto ovvero la glera[1].

Uva glera prosecco
Uva glera o prosecco (Fonte: it.wikipedia.org)

Come accade con le uve utilizzate solitamente per gli spumanti metodo Classico anche la glera si adatta molto bene al processo di spumantizzazione.

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La produzione del Prosecco però non avviene con la rifermentazione in bottiglia ma bensì con una rifermentazione in autoclave chiamato metodo Charmat o Martinotti.

Prosecco DOC Millesimato 2017 Najma Vigna Belvedere
Prosecco DOC Millesimato 2017 Najma Vigna Belvedere

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Sia il metodo Classico che lo Charmat consentono di ottenere vini spumanti di qualità che però hanno caratteristiche un po’ diverse.

La differenza sostanziale è che con il metodo Classico, lungo e laborioso, avremo vini spumanti più strutturati e complessi, mentre con il metodo Charmat, molto più breve, avremo vini spumanti più ‘semplici’, di pronta beva.

Prima dell’introduzione del metodo Charmat o Martinotti gli spumanti erano prodotti solo attraverso la rifermentazione in bottiglia.

I primi esperimenti di spumantizzazione ‘non in bottiglia’ furono condotti in Francia nel 1851 da Rousseau e Brillè, che fecero rifermentare dei vini in botti di legno rafforzate con cerchi di ferro.

Li chiamarono enofori ma ovviamente non potevano reggere la pressione che si creava all’interno.

Nel 1858 a Reims, nella regione dello Champagne, Edme Jules Maumené sperimentò invece dei recipienti metallici cilindrici della capacità di 32 hl che chiamò afrofori (dal greco ‘portatori di schiuma’), fatti di rame argentato.

Avvalendosi della collaborazione di Jaunay, tecnico della casa spumantistica Mumm e Co di Reims, Maumené utilizzò per la prima volta un afrometro per il controllo della pressione; l’afroforo fu dunque l’antesignano del moderno autoclave.

Afrometro Autoclave metodo Charmat
L’afrometro dell’autoclave per la spumantizzazione Metodo Charmat-Martinotti (Fonte: sabastrumentazione.com)

Questo sistema fu però molto criticato in Francia poiché ci si preoccupava del fatto che lo Champagne potesse diventare un ‘prodotto di basso costo’.

Ad inizio ‘900 vennero apportati altri perfezionamenti da Chaussepied, ma visti gli investimenti di produzione molto alti, questi impianti non trovarono nessun impiego pratico, ma del resto ci si stava muovendo verso la meccanizzazione e l’innovazione in questo campo enologico.

Ci fu il Prof. Koenig che elaborò un nuovo afroforo per i vini aromatici come il Moscato ma non portò mai a compimento il suo progetto.

In Italia poi, Federico Martinotti[2], direttore della Regia Stazione di Enologia di Asti (oggi sezione del Centro per la Ricerca Agraria), elaborò un sistema completo per la produzione degli spumanti con rifermentazione in autoclave.

Lo chiamò ‘Apparecchio a lavorazione continua’; nei suoi scritti Martinotti sosteneva che fosse rivolto all’elaborazione di spumanti secchi, con una lavorazione rapida che permetteva una migliore conservazione degli aromi[3].

Il sistema Martinotti venne così brevettato nel 1895 in Italia, Francia e Svizzera; all’inizio vi erano tre recipienti di ferro con protezione interna in legno e per la refrigerazione si utilizzò una serpentina, sempre interna.

Queste autoclavi furono collaudate per una pressione di 8 atm, ma vennero apportate varie modifiche nel corso degli anni.

Nonostante l’impegno profuso, il metodo Martinotti non trovò la strada giusta per essere adattato alla produzione industriale.

Fu solo nel 1907 che il francese Eugène Charmat mise a punto, brevettandolo, un sistema del tutto simile che ebbe più fortuna, appunto il famoso metodo Charmat.

Il metodo porta però anche il nome di Martinotti che, come si è detto, fu il primo vero inventore della rifermentazione in autoclave.

In Italia il primo impianto originale Charmat-Martinotti giunse alla ditta Cora di Costigliole d’Asti nel 1922.

 

Come nasce uno spumante metodo Charmat?

Come detto, nel metodo Charmat o Martinotti la rifermentazione del vino avviene in autoclave, cioè in un contenitore simile ad un grande silos di acciaio inox a temperatura controllata che mantiene al suo interno l’anidride carbonica.

Metodo Charmat rifermentazione in autoclave
La rifermentazione in autoclave del Metodo Charmat-Martinotti (Fonte: enologicapetrillo.it)

Dopo aver creato la cuvée dei vini-base si attua una chiarificazione e una refrigerazione per stabilizzarla; una successiva filtrazione la renderà pronta per la presa di spuma.

Si prepara poi il pied de cuve, ovvero la base dei lieviti selezionati con l’aggiunta di zuccheri e sali minerali che faranno ripartire la fermentazione nell’autoclave.

L’autoclave, della capacità che varia dai 100 ai 500 hl, è dotata di una doppia parete e di strumentazioni che permettono di tenere sotto controllo le temperatura.

La rifermentazione è molto veloce; secondo la normativa dell’Unione Europea dalla rifermentazione alla commercializzazione non possono passare meno di 30 giorni.

Per gli spumanti di alta qualità la maturazione sulle fecce non può essere inferiore agli 80 giorni e tra la rifermentazione e la commercializzazione devono passare almeno 6 mesi.

Allungando il periodo di permanenza sulle fecce, lo spumante regalerà profumi e sfumature più marcate; questo processo si chiama Charmat lungo.

Una volta conclusosi questo processo lo spumante viene travasato in un’altra autoclave e filtrato in condizioni isobariche, ossia in sovrappressione, per evitare perdite di CO2.

Lo spumante è poi stabilizzato tramite refrigerazione che provoca la cristallizzazione e caduta dei sali dell’acido tartarico, separati dal vino da un’ulteriore filtrazione sempre isobarica.

Anche per gli spumanti metodo Charmat o Martinotti la tappatura avviene con tappi di sughero a fungo come per il metodo Classico; per quelli di bassa qualità vengono utilizzati anche tappi di plastica.

E’ assolutamente vietato aggiungere lo sciroppo di dosaggio (liqueur d’expédition) in vini spumanti aromatici di qualità come ad esempio il Moscato d’Asti DOCG.

Per produrre uno spumante metodo Charmat dolce bisogna prestare attenzione ad eliminare tutti i lieviti al fine di evitare rifermentazioni indesiderate dopo l’imbottigliamento.

 

Lo spumante dolce

Lo spumante dolce più bevuto in Italia è senza dubbio il Moscato d’Asti Docg ottenuto da uve di moscato bianco, un vino che esalta le peculiarità aromatiche di questo vitigno.

Moscato
Uve di moscato bianco (Fonte: winedharma.com)

Ma come si produce uno spumante dolce?

Dopo la vendemmia le uve sono sottoposte ad una pigiature soffice; il mosto è chiarificato, solfitato, illimpidito e travasato in grandi vasche refrigerate per evitare che si inneschi la fermentazione.

Il mosto-vino ricco di zuccheri deve essere più volte filtrato (o centrifugato) per renderlo infermentescibile; stabilizzato a bassa temperatura (0-5° C), riposa per alcune settimane e rifiltrato.

Nella seconda fase della produzione il vino è travasato nelle autoclavi con il pied de cuve; la rifermentazione parziale degli zuccheri avviene in circa 30 giorni producendo alcol e anidride carbonica.

La sovrappressione è di 5-6 atm; per bloccare l’azione dei lieviti e lasciare un buon residuo zuccherino si procede ad un raffreddamento a -4°C.

Poi si passa a rimontaggi, controlli e ed eventuali chiarificazioni; per eliminare definitivamente i lieviti lo spumante è sottoposto ad una filtrazione sterilizzante.

Il vino viene infine imbottigliato in condizioni isobariche e a temperatura molto bassa.

 

Il sistema misto o ‘metodo Marone-Cinzano’

Negli anni ’30 in Italia, presso gli stabilimenti Cinzano di Santa Vittoria d’Alba (Cn), venne ideato un sistema innovativo per la produzione degli spumanti chiamato metodo Marone-Cinzano o sistema misto.

Le macchine furono costruite sui disegni del conte Marone-Cinzano da cui prende nome; la rifermentazione del vino era effettuata in bottiglia come pure la conservazione.

Le ultime operazioni di remuage e dégorgement erano invece effettuate con un travaso isobarico in autoclave.

Successivamente lo spumante era filtrato, brillantato e imbottigliato come nel metodo Charmat.

Da qui il nome di ‘sistema misto’; i vantaggi di questo processo erano essenzialmente due: la riduzione dei costi e il mantenimento parziale delle caratteristiche di un vino prodotto secondo il metodo Classico.

Ma gli svantaggi erano maggiori; infatti lo spostamento dello spumante in autoclave e l’imbottigliamento in ambiente isobarico non erano affatto semplici.

Bisognava usare dosi massicce di antiossidanti e spesso il prodotto risultava di scarsa qualità.

Prosecco metodo Charmat Martinotti
Bollicine metodo Charmat-Martinotti

 

Bibliografia e sitografia

Il mondo del sommelier, Associazione Italiana Sommelier, pagg. 152-157

Lorenzo Tablino, Bollicine in autoclave. Due secoli di storia, pagg. 14-17

 

[1] Il vitigno a bacca bianca semiaromatico glera viene coltivato nelle regioni Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Veneto. Con l’introduzione del D.M. 21/07/2009, il nome glera ha sostituito quello di prosecco al fine di tutelare la Denominazione di Origine Controllata Prosecco DOC.
[2] Nato a Villanova Monferrato (AL) nel 1860, vinse nel 1900 il concorso per la direzione della Regia Stazione di Enologia di Asti. Gli studi di Martinotti si focalizzarono soprattutto sul metodo di produzione degli spumanti con rifermentazione in autoclave ma ideò anche delle interessanti macchine per automatizzare il lavoro enologico. Fece inoltre studi e ricerche sulla produzione di vini privi di alcol e sulle cosiddette ‘malattie del vino’, causate in molti casi dalle cattive condizioni igieniche delle cantine dell’epoca. Dal 1902, organizzò corsi per istruire i viticoltori astigiani sull’utilizzo delle viti americane per prevenire i danni della fillossera. Morì nel 1924. (Lorenzo Tablino, Bollicine in autoclave. Due secoli di storia, pagg. 14-17)
[3] Il testo originale del Martinotti del 1921 che porta in copertina il titolo ‘La fermentazione dei vini spumanti’ fu pubblicato sul periodico Il Giornale Viticolo Italiano di Casale Monferrato (AL). [Lorenzo Tablino, Bollicine in autoclave. Due secoli di storia, pagg. 14-17]
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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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