Un piccolo borgo della Sila Greca sospeso nel tempo e una tradizione gastronomica: Pietrapaola e la strazzata
Fra i comuni della Sila Greca calabrese spicca per storia e bellezze naturalistiche un suggestivo borgo aggrappato alla roccia: Pietrapaola.
Centro collinare dell’entroterra ionico cosentino, Pietrapaola si estende tra mare e montagna; tracce della frequentazione umana si hanno già dalla tarda età del Bronzo (XIII sec. a.C.), ma con tutta probabilità le sue origini sono brettie.
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Infatti a pochi chilometri dall’abitato si trovano i resti delle imponenti Mura di Annibale, una cinta muraria difensiva del IV-III secolo a.C. che testimonia l’importante valore archeologico di Pietrapaola[1].
Un paese silenzioso dove ormai abitano poche persone e alquanto particolare per la presenza di grotte e monumenti rupestri che lo rendono unico nel circondario.
Questa caratteristica trova riferimento nel suo toponimo[2]: secondo alcuni studiosi, Pietrapaola deriverebbe dalla combinazione fra il termine pietra e il nome proprio Paula[3].
Secondo altri[4] invece nascerebbe dal termine osco arcaico petrapa che significa ‘luogo della rupe’ riferibile alla grande rupe che sovrasta, protegge e caratterizza il paese, chiamata Timpa del Castello[5].
Le grotte di Pietrapaola non sono naturali, bensì di tipo cenobitico ed eremitico: scavate nel tufo furono realizzate ed utilizzate nell’Alto Medioevo dai monaci basiliani[6].
Tra queste interessantissima è la cosiddetta Grotta del Principe[7] presso la rupe del Salvatore.
Immerso nel verde, Pietrapaola fu un centro floridissimo: da sempre vocato all’agricoltura e alla pastorizia, nel ‘700 era rinomato per l’allevamento di pregiate razze di cavalli, muli, pecore e maiali semiselvaggi.
Era inoltre uno dei territori più produttivi della provincia di Cosenza, importante per la lavorazione dei filati di lana, lino, cotone e seta venduti nei vicini Longobucco, Bocchigliero, Mandatoriccio e Cariati, paesi famosi per l’arte della tessitura.
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A Pietrapaola si producevano basti di prima qualità, doghe per botti e barili; erano presenti nella zona anche quattro mulini feudali per la molitura del grano ed altri cereali.
Pietrapaola è tutt’ora un luogo ricco di bellezze, purtroppo quasi disabitato: camminare attraverso i suoi caratteristici vicoli fa respirare un passato ancora palpabile.
Si possono scorgere bellissime costruzioni medievali come l’arco di San Demetrio su arcata a tutto sesto con travi di legno trasversali o lo splendido rosone litico sormontato da timpano a lunetta della Chiesa di S. Maria delle Grazie.
La marina di Pietrapaola è abbastanza sviluppata, ci sono negozi e locali e vanta la presenza di ampie spiagge con mare cristallino, molto frequentata durante la stagione estiva da residenti e turisti.
Nella gastronomia pietrapaolese c’è una specialità che racconta questo territorio e le sue antiche tradizioni contadine: si chiama strazzata (in dialetto ‘a sŗazzata).
La strazzata a Pietrapaola si fa da tantissimo tempo: è una focaccia chiamata così perché “strappata” dall’impasto del pane prima ancora di essere cotto.
Possiamo quasi considerarla un termometro naturale dell’epoca perché la si ‘usava’ per verificare la temperatura dei forni a legna prima di cuocere pitte, pizze, ‘viscotti (come chiamano qui le freselle) e pani.
La strazzata è quindi un pezzo di pasta lievitata appiattita con le mani che si gonfia immediatamente con il forte calore e che ha pochissima mollica al suo interno; viene aperta a metà o strappata a pezzi e consumata al momento.
Semplicissima ma gustosa, ancora oggi si mangia semplicemente condita con olio extravergine d’oliva, con la sardella piccante (LEGGI ANCHE IL POST SULLA SARDELLA) oppure con le frisulaglie (conosciute anche come frisulimiti)[8].
La strazzata non è adatta ad essere conservata a lungo; era usanza farla assaggiare ai vicini di casa ma anche a persone che si trovavano lì di passaggio.
Una volta impastare e infornare il pane era anche un modo per stare assieme.
I forni erano pochi perchè non tutti ce l’avevano e per questo le massaie usavano quelli disponibili in paese.
E visto che doveva durare per parecchi giorni, ne facevano grandi quantità per le proprie famiglie.
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La strazzata è anche una focaccia tipica della Basilicata, specialità di Avigliano, borgo di origine medievale della provincia di Potenza.
Chiamata in dialetto strazzat’, è una schiacciata impastata con farina di grano tenero e semola di grano duro, acqua, lievito, sale e, soprattutto, pepe nero che le conferisce particolarità nel gusto.
Anche la strazzata aviglianese cuoce in forno a legna ed ha la forma di una ciambella (come la nostra più famosa pitta);
viene ‘stracciata’ a mano e aperta a libretto; infine è farcita con prosciutto crudo e caciocavallo podolico, con frittata, peperoni o con formaggi e salumi locali ed è consumata sia calda che fredda.
Questa strazzata rientra nei PAT della regione Basilicata; ogni anno a Stagliuozzo, frazione di Avigliano, si tiene una famosa sagra dove la si può mangiare in tutte le sue varianti, persino con creme dolci.
Anche a Pietrapaola da diversi anni a questa parte durante i mesi estivi si organizza la Sagra della strazzata, un evento che riscuote parecchio successo e che attira molti visitatori.
Durante questa festa si balla, si canta, si suona, si mangia e si beve; ecco che una semplice ‘focaccia di prova’ per il pane diventa strumento di aggregazione sociale e di condivisione e, come in questi momenti, anche oggetto di promozione territoriale.
La strazzata di Pietrapaola assieme a tutti i prodotti della cucina cosiddetta ‘povera’ è testimonianza di quella vita genuina simbolo identitario di una comunità.
E’ una preparazione della tradizione locale che è anche memoria storica: richiama infatti immagini di un vissuto fatto di sapori veri e sani e meriterebbe, come è giusto che sia, attenzione e giusta valorizzazione.
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Bibliografia e sitografia
Itinerari storici, artistici e archeologici della sila greca, Pietrapaola: il carisma dei Brettii e le Muraglie di Annibale di Franco Emilio Carlino (www.anticabibliotecarossanese.it)
Dizionario dialettale di Pietrapaola. Tra parole e fatti, Nicola Chiarelli, 2014