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Dalla Sila Greca uno zampone calabrese, il Sacchetto di Longobucco

La tradizione gastronomica del Sacchetto di Longobucco, piccolo borgo immerso nella Sila Greca

La Calabria gastronomica riserva sempre piacevoli e gustose sorprese, perché quando meno te lo aspetti spunta fuori una qualche specialità locale poco conosciuta.

E’ il caso del Sacchetto di Longobucco, un insaccato della tradizione che ha meritato un posto all’interno dell’Arca del Gusto della Fondazione Slow Food per la salvaguardia della biodiversità.

Longobucco e la sua storia

Longobucco (Cs) è un borgo medievale di origine normanna di poche migliaia di abitanti, che si trova a circa 800 metri s.l.m. nella parte nord della Sila che da Grande diventa Greca, interessata dall’alta valle del fiume Trionto proiettata verso il mar Ionio.

Si pensa che questo centro esistesse sin dall’arrivo dei Greci sulle nostre coste; vi sono autori che sostengono infatti che Sibariti, Crotoniati e poi Romani per coniare le loro monete estrassero l’argento dalle miniere longobucchesi che, stando ad alcuni documenti, rimasero attive fino al 1700.

Longobucco (Cs), borgo immerso nella Sila Greca (Fonte: turismo.regione.calabria.it)

Sul toponimo non ci sono ipotesi certe: interpretato come longa-bucca ossia “lunga cavità”, questo riporterebbe all’idronimo bizantino makròkoilos ossia al sottostante torrente Macrocioli, che collega il paese con la Sila e che ha lo stesso significato[1].

C’è chi poi ha pensato che Longobucco fosse identificabile con la citta di Témesa (o Tempsa), citata da Omero nel libro I dell’Odissea[2], ma ciò è poco sostenibile per l’assenza di evidenze archeologiche.

Seguendo l’oralità, altri lo vorrebbero far risalire alla parola latina longus burgus cioè “borgo lontano” o “luogo lontano” e da cui Longoburgus[3].

Invece, per quanto riguarda la storia fondata su documentazione storica, questa ha inizio con la presenza di Normanni, Svevi ed Angioini.

Grazie all’abbondante presenza d’acqua del territorio, Longobucco fu da sempre dedito all’agricoltura e alla pastorizia, immerso nell’intenso verde dei boschi di montagna, e si è distinto nel corso dei secoli soprattutto per il suo artigianato locale, in maniera particolare tessile (lana, seta e lino).

Longobucco fu un noto covo di briganti; oggi è caratterizzato da stretti vicoli e viuzze, suddiviso in rioni ed abbellito da palazzi gentilizi e bellissime chiese;

il suo fulcro centrale è sicuramente ‘U Campanaru (il Campanile o Torre Normanna), in stile romanico, che Norman Douglas così descrisse:

Saldamente piantato ad un lato della piazza e sporgendo ad angolo retto dal corpo della chiesa, il massiccio campanile ricoperto da cima a fondo di erbe e piante rampicanti, le cui radici hanno trovato casa negli interstizi della muratura. Un monumento severo e venerando, pieno di carattere[4].

Longobucco (Cs) e il suo centro storico con il famoso Campanaru (o Torre Normanna) – Fonte: mapio.net/pic/p-50319143/

Il Sacchetto di Longobucco

Il Sacchetto di Longobucco è un prodotto tipico di questo centro silano la cui tradizione rischia di perdersi;

in dialetto è detto U Sacchiattu, ed è chiamato così per via della sua forma: la cotenna del maiale che contiene la carne viene ricucita assumendo proprio la forma di un sacchetto.

Originariamente si utilizzava il suino nero di Calabria, rustico, più magro e adatto al pascolo.

Il pezzo di carne scelto per fare il Sacchetto è quello della zampa anteriore dell’animale, fra il piede e la coscia; si estrae tutto il muscolo (lasciando intatta la cotenna), poi tagliato a pezzetti, viene cosparso con il sale e il pepe nero in grani.

Questo impasto viene poi rimesso all’interno della cotenna, cucita sia superiormente che inferiormente con lo spago e un grosso ago.

U Sacchiattu di Longobucco (CS) – Credits: Mario De Vincentis

Il Sacchetto viene poi messo a cuocere per circa tre ore in una pentola, la stessa che viene usata per fare le frittole[5];

l’insaccato è fatto scolare e posto ancora tiepido in un vaso di terracotta, in cui è versato il grasso ristretto delle frittole; questo “zampone calabrese” si conserva così, lasciato riposare per un mesetto al fresco e all’asciutto.

Il Sacchetto di Longobucco (Fonte: eatparadeblog.it)

Ma come si gusta il Sacchetto di Longobucco?

Compatto e profumato, si taglia a fette e può essere accompagnato da sott’oli, sott’aceti, verdure o legumi ed è saporitissimo.

Questa tradizione, come dicevamo, potrebbe scomparire; ad oggi sono pochissime le persone che continuano a prepararlo.

La lavorazione tutta artigianale, che richiede tempo e pazienza, rappresenta una vera e propria eredità gastronomica e un bene culturale, che merita di essere protetto e tramandato ancora alle nuove generazioni.

Sacchetto di Longobucco (CS)
Il Sacchetto (Credits: Mario De Vincentis)

 

Per informazioni sul Sacchetto 

Mario De Vincentis – Tel: 346 794 0347

Instagram: https://www.instagram.com/maruzzu_/

 

 

Bibliografia e sitografia

Antonio Maria Adorisio in Longobucco. Dal mito alla storiaTestimonianze e studi in memoria di Mons. Giuseppe De Capua, pp. 75-78

Franco Emilio Carlino, Itinerari storici, artistici e archeologici della Sila Greca. Longobucco. Dalla leggenda dell’arcaica Themesen o Tempsa a rinomato covo del brigantaggio calabrese, in La Voce – Periodico indipendente di Rossano e circcondario, Anno XXI | n. 2 | p. 7 | Febbraio 2017

www.fondazioneslowfood.com

https://www.fondazioneslowfood.com/it/nazioni-arca/italia-it

 

 

[1] Giovanni Alessio, Saggio di toponomastica calabrese, pp. 221-222 n.2207. Le informazioni storiche sullo stesso tema ci riconducono anche al Padula, sacerdote e storico acrese. Infatti, anche lui mette il nome Longobucco in relazione con il Macrocioli, dal quale derivò poi il nome latino Longobuccum.
[2] […] “Con nave io giunsi, e remiganti miei, fendendo le salate onde ver gente d’altro linguaggio, e a Temesa recando ferro brunito per temprato rame, ch’io ne trarrò”. – Omero, Odissea, Libro I, vv. 25-249, traduzione di Ippolito Pindemonte
[3] F. Godino, a cura di G. Godino, C’era una volta Longobucco, pp.19-20, Ferrari Editore, Rossano 2008.
[4] Norman Douglas, Old Calabria, 1915
[5] Piatto tipico della gastronomia calabrese, le frittole sono preparate con le parti meno nobili del maiale (orecchie, zampe, rognoni, lingua, coda), bollite nel grasso che ne insaporisce il gusto.
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3 commenti

  1. guida rappresentanze di guida cosimo m e figli snc

    grazie per le informazioni sarebbe utile per me sapere le aziende che lo fanno ancora grazie
    cosimo guida

    1. Ciao Cosimo,
      dovresti chiedere a qualcuno della zona. Posso dirti che presso il ristorante L’Oasi di Mirto (Cs) questo prodotto è servito ai clienti che vogliono assaggiare le tipicità del territorio. Magari puoi rivolgerti a loro che ti sapranno dare maggiori informazioni! A presto!

  2. Salve potreste darmi informazioni su come acquistare il sacchetto online?
    Grazie

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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