Oggi tra le tante innovazioni in campo alimentare c’è un altro modo di relazionarsi al cibo: il food design

Bruno Munari, uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del ventesimo secolo così diceva: “Tutti quelli che hanno la stessa apertura visiva e vedono il mondo nello stesso modo non hanno osservazioni diverse da comunicarsi. Solo chi ha un’apertura visiva diversa vede il mondo in un altro modo e può dare al prossimo un’informazione tale da allargargli il campo visivo”. Oggi questo concetto viene applicato, sempre in maniera più diffusa, anche al cibo: è l’epoca del food design.

Il connubio fra il food ed il design nasce dalla volontà di dar vita agli alimenti presenti sulle nostre tavole, donando piaceri che vanno oltre il gusto, studiando un’estetica del mangiare che sia in grado di offrire esperienze polisensoriali e realizzando luoghi accoglienti adatti a tale filosofia, con percorsi gastronomici attraenti che ne esaltino il consumo.

Il cibo, oggi più che mai, è diventato un vero e proprio fenomeno, non è più solo necessario alla sopravvivenza, ma è un mezzo di comunicazione.  Il termine food design, nato a metà degli anni ’90 del secolo scorso, fa parte della nostra quotidianità: esso si può tradurre come “progettazione del cibo” in quanto prevede sia la composizione che lo sviluppo di ricette, ma anche e soprattutto la loro presentazione visiva.

“Progettare” un cibo non significa solo renderlo bello da vedere; infatti il food design crea un piatto tenendo conto anche degli altri suoi aspetti quali le materie e le loro caratteristiche, da quelle biologiche e molecolari a quelle antropologiche, sociologiche e storiche. Dunque tradizione, comunicazione e cultura alimentare si fondono assieme in un’idea che poi si trasforma in vera e propria forma d’arte.

Dietro ogni progetto di food design c’è una ricerca che mira a creare “oggetti” nuovi per il palato e per gli occhi: nuove consistenze, nuovi sapori, nuovi colori; il cibo non è più empirico, ma scientifico e tecnologico. Sarà pertanto buono e interessante anche da un punto di vista etico e, proprio come tutte le forme d’arte, avrà una propria connotazione emozionale e una sua concezione figurata o astratta.

Consideriamo inoltre queste opere edibili completamente diverse da quello che l’industria commerciale ci propone: come oggetto di design esse non possono che essere uniche e consapevolmente contemporanee, frutto di un’epoca storica in continua evoluzione che al cibo presta sempre più attenzione.

Il food design si occupa anche del luogo in cui il cibo si consuma: ad affiancare piatti spettacolari che sembrano dipinti, ci sono locali e ristoranti che attraverso l’estro creativo dei loro designer imprimono il loro stile e la loro personale immagine della tavola: forme dei piatti, tovagliati, bicchieri, posate e quant’altro saranno unici e coerenti con la loro visione gastronomica.

L’impatto visivo del food design viene sfruttato, per la sua enorme potenzialità, dalla pubblicità: il marketing del cibo è strettamente legato alle immagini che devono, per ovvie ragioni, essere impeccabili; web e social rappresentano il canale di promozione e condivisione più efficace (l’hashtag foodporn, ad esempio, raccoglie foto di milioni piatti nel mondo). Infine, il food design contribuisce alla realizzazione del packaging di molti prodotti al fine di promuoverli e valorizzali comunicandoli al pubblico nel migliore dei modi.

Possiamo infine dire con certezza che il design del cibo apre nuovi orizzonti nel settore gastronomico (il cui anello di congiunzione è il vino con i suoi abbinamenti), dando nuovi spunti di riflessione per conoscerlo e comprenderlo, quella cultura materiale che essendo fatta dall’uomo lo racconta in un’altra delle sue meravigliose sfaccettature.

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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