La civiltà della tavola e le “cene in bianco”: quando il cibo diventa fenomeno culturale legato alla sua condivisione sociale e strumento di comunicazione dell’identità umana

Il cibo è cultura quando si produce, perché l’uomo non utilizza solo ciò che trova in natura (come fanno tutte le altre specie animali) ma ambisce a creare il proprio cibo, sovrapponendo l’attività di produzione a quella di predazione. Il cibo è cultura quando si prepara, perché una volta acquisiti i prodotti-base della sua alimentazione, l’uomo li trasforma mediante l’uso del fuoco e un’elaborata tecnologia che si esprime nelle pratiche di cucina. Il cibo è cultura quando si consuma, perché l’uomo, pur potendo mangiare di tutto, o forse proprio per questo, in realtà non mangia tutto bensì sceglie il proprio cibo, con criteri legati sia alle dimensioni economica e nutrizionale del gesto, sia a valori simbolici di cui il cibo stesso è investito. Attraverso tali percorsi il cibo si configura come elemento decisivo dell’identità umana e come uno dei più efficaci strumenti per comunicarla[1].

In queste parole di Massimo Montanari è racchiuso tutto il valore che il cibo e le attività ad esso connesse hanno nella nostra vita; sono componenti costitutivi di un popolo, di un’epoca storica, di una società. Da ciò si sviluppa la cosiddetta “civiltà della tavola”, come viene propriamente chiamato questo fenomeno, ed esprime appieno la nostra cultura, e cioè quella che riguarda l’interazione e la condivisione sociale del cibo.

Il termine convivio (o convito) infatti, deriva dal latino “cum-vivere” e significa letteralmente “vivere assieme”: l’associazione tra l’atto del mangiare e del vivere è immediata, il senso materiale e metaforico diventa unico e ci conduce dunque alla tavola, al momento del consumo di un pasto, al piacere di trovarsi con altre persone e celebrare questo rituale che così sviluppa tutte le sue connotazioni, da quella antropologica a quella sociologica, ludica ed edonistica.

Nella moderna civiltà della tavola, “buongustaio” o “gourmet” è sinonimo di una persona che sa apprezzare il piacere del buon cibo e lo fa soprattutto in compagnia; già nel mondo antico mangiare non era concepito soltanto come un bisogno primario, ma come uno strumento di comunicazione: nel banchetto greco, ad esempio, la presenza di regole etiche e di convivialità lo rendevano un momento di gioiosa condivisione, come anche il considerarsi parte integrante di una cittadinanza civile era legato alla preparazione dei propri alimenti, al contrario del barbaro che era un uomo selvatico perché mangiava prevalentemente carne, non praticava l’agricoltura, non mangiava pane e non beveva vino.

Oggi si assiste a fenomeni diversi legati alla civiltà della tavola. Uno fra questi è sicuramente quello delle “cene in bianco”, un evento che ha letteralmente affascinato e coinvolto intere città nel corso degli anni. In un’aura fresca e luminosa resa dal bianco, per una sera tutti si vestono di questo colore e imbandiscono una tavola quadrata o rettangolare condividendo uno spazio comune e portandosi da casa non solo il cibo ma anche tavolo, tovagliato e stoviglie, rigorosamente total white.

Cena in bianco a Catanzaro (2016), Piazza Duomo (Ph. Concetta Mellace)

Sulla scia dei flash mob, in cui i partecipanti si ritrovano in un punto esatto della città per spezzare il monotono quotidiano con qualcosa di brioso e fuori dall’ordinario, così anche le cene in bianco danno vita ad una vera e propria manifestazione social in cui si ci diverte stando seduti uno accanto all’altro e cenando tutti assieme.

La cena in bianco nasce idealmente in Francia nel 1988 come pic-nic al parco, da un’idea di François Pasquier che nei giardini di Bois de Boulogne s’inventò un Dîner en Blanc, chiedendo ai suoi invitati di vestirsi di bianco in modo da potersi riconoscersi nella vastità del luogo. Da allora questo fenomeno food-culturale per alcuni è diventato quasi un rito, un modo di cenare “non convenzionale” ed elegante oltre che ecologico, perché è importante sottolineare che tra le regole da rispettare vi è anche il divieto dell’uso di plastica, carta e lattine.

Cena in bianco a Catanzaro (2016), Piazza Duomo (Ph. Concetta Mellace)

Finita la cena e i festeggiamenti, a fine serata, si lascia la location avendo cura di rassettare per bene e lasciare il tutto ben pulito. Insomma alla base di una cena in bianco stanno etica, sobrietà e divertimento, ispirata alle grandi società di corte del passato, e che esprime anche il desiderio della gente di vivere per una sera gli spazi importanti o periferici della propria città, ridendo, parlando e mangiando il proprio cibo o assaggiando quello del vicino, magari appena conosciuto.

 

[1] Il cibo come cultura, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 7-8

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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