Tra le vetrine del Museo Archeologico Nazionale di Locri Epizefiri (RC) che ospitano, tra gli altri, i bellissimi ed originali pinakes, spiccano anche altri particolari oggetti in terracotta provenienti dal Persephoneion, ossia dal santuario dedicato a Persefone: si tratta di riproduzioni fittili utilizzate come ex-voto per la dea e che raffigurano un antico frutto locrese: il cucumis melo flexuosus
Nata sulla costa ionica calabrese presso il promontorio da cui prese il nome, la colonia magnogreca di Λοκροι Επιζεφύριοι[1] (Locri Epizefiri) venne fondata tra la fine dell’VIII e inizi del VII secolo a.C. da greci provenienti dalla Locride (Ozolia o Opunzia), guidati da un ecista di nome Evante.
In questo importantissimo sito, a distanza di secoli, aleggia ancora un’aura nobile, e un misterioso fascino ricopre le tante testimonianze archeologiche del suo grande passato. Oggi l’antica Locri Epizefiri è infatti visibile nei resti della sua imponente cinta muraria, delle aree sacre, del teatro o delle necropoli. I suoi templi erano notevoli: da quello ionico di Marasà a quello dorico di “Casa Marafioti” dedicato a Zeus; dal santuario della Grotta delle Ninfe, a quello di Zeus Olimpio fino all’area sacra di Afrodite di Centocamere.
Ma a Locri Epizefiri si trovava anche “il più famoso tra i santuari d’Italia” come scriveva Diodoro Siculo[2]: si tratta del santuario di Persefone o Persephoneion, scoperto dall’archeologo Paolo Orsi agli inizi del ‘900. Il luogo sorge ai piedi del colle della Mannella ed è stato datato ad un periodo compreso tra il VII ed il III sec. a.C. Grazie alla serie di importanti scavi e studi, l’area è stata indagata e ha permesso il ritrovamento di numerosi ex-voto e, soprattutto, dei più famosi ed unici pinakes[3].
Tra questi oggetti votivi e cultuali troviamo anche riproduzioni fittili di frutti e fiori, opera dell’artigianato locale di Locri Epizefiri: dal melograno alla mela cotogna, dal fico alla zucca e ai piselli, dalla bacca di papavero al bocciolo di loto. Tra questi spiccano inoltre alcuni oggetti serpeggianti, caratterizzati alle due estremità da una protuberanza e da un piccolo peduncolo e la cui superficie è profondamente scanalata: si tratta della riproduzione del cucumis melo flexuosus, un antico ortaggio locrese ormai perduto. Questo tipo di ex-voto, prodotto almeno dal V-IV sec. a.C., è stato rinvenuto in numerosi santuari della Magna Grecia e attestato anche in Sicilia, a Lipari, in alcuni contesti funerari dell’Italia meridionale, nonché in vari siti del bacino del Mediterraneo.
Questo ortaggio, raffigurato insieme ad altri cibi, è stato identificato con una qualità di melone detta correntemente “tortarello verde”[4] o “abruzzese”, una varietà vegetale oggi poco diffusa ma tuttora presente soprattutto in Italia meridionale e in Grecia (a Creta). Riguardo alle possibili valenze cultuali di queste offerte, mai citate dalle fonti letterarie, si può notare che la forma ricorda in qualche modo il serpente, un animale legato probabilmente all’oltretomba, che possiede sia un valore funerario che positivo e salutare. Ma è soprattutto l’abbondanza dei semi all’interno dell’ortaggio, come per il melograno, la pigna e la capsula di papavero, a costituire un profondo legame simbolico con la fertilità e la fecondità, che sono gli aspetti cruciali del culto del Persephoneion di Locri Epizefiri[5].
Il cucumis melo flexuosus, chiamato anche “cetriolo armeno” o “popone serpentino”, era probabilmente l’antenato del melone; la sua presenza millenaria è attestata nelle pitture parietali dell’antico Egitto, nelle raffigurazioni greche e nei mosaici romani e, soprattutto, in quelle degli affreschi di Pompei ed Ercolano; la sua è una pianta rustica erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle cucurbitacee che viene utilizzato come ortaggio, raccolto ancora immaturo e consumato crudo come un comune cetriolo. E’ un prodotto coltivato nel versante adriatico dell’Italia meridionale, in particolare in Abruzzo, Molise, Puglia e Sicilia. E’ poco conosciuto al di fuori delle aree di produzione, e sono note le varietà “abruzzese”, “barese” e “siciliano” (dove è detto anche “cetrangolo” o “cocòmmero”).
Bibliografia e sitografia
Luana Poma, Gli alimenti nelle raffigurazioni del mondo antico, in Corso di formazione “L’alimentazione nel mondo antico” Museo Archeologico Regionale “Lilibeo” di Marsala