Un frutto antichissimo, pregiato e sacro: parliamo del cedro, l’agrume simbolo della costa dell’alto Tirreno cosentino a cui è stato dedicato un museo nel comune di Santa Maria del Cedro
Antichi documenti in sanscrito risalenti al IX secolo a.C. ritrovati in India riportano i nomi di alcuni agrumi tra cui il limone e il cedro.
Altri elementi suggeriscono però una datazione molto più antica della presenza del Citrus: a Cipro, infatti, sono stati rinvenuti semi che risalirebbero addirittura al 1200 a.C.[1]
Il cedro è sicuramente un frutto antichissimo arrivato nel Mediterraneo da Oriente, forse proprio dall’India (dalla regione dell’Himalaya) oppure dalla Cina o dalla Persia (le attuali zone dell’Iran).
E’ citato da vari autori a partire da Teofrasto (372-287 a.C.) che lo descrive chiamandolo pomo della Persia o della Media e ne indica anche la coltivazione[2] e gli usi, mentre Plinio il Vecchio lo definisce melo d’Assiria[3].
Per il poeta Marziale i cedri sono le mala citrea e dice: “O vengono da Corfù, dagli alberi del giardino (di Alcinoo) / O sono le mele (delle Esperidi) sorvegliate dal drago africano”[4].
Del cedro parlano numerosi autori come Virgilio[5], Apicio[6], Petronio; probabilmente all’inizio più che per fini produttivi era molto ricercato quale elemento decorativo, come attestano diverse rappresentazioni[7].
Le sue origini non sono ancora chiare ma il cedro era ben conosciuto presso i Greci.
Sarebbe stato grazie ad Alessandro Magno che nel III secolo a.C. il cedro arrivò a Occidente, portato dalle sue truppe in Grecia e nel resto del Mediterraneo.
In Italia il cedro potrebbe essere giunto direttamente oppure tramite i rapporti commerciali intrattenuti dai Fenici o dagli Etruschi; in questo caso l’introduzione risalirebbe ad ancora prima, almeno al V secolo a.C.
La maggior parte degli studiosi ritiene invece che il cedro si sia diffuso a seguito delle migrazioni degli Ebrei.
Dopo quattro secoli di schiavitù in Egitto, questi ultimi introdussero la coltivazione del cedro prima in Palestina e poi nelle altre regioni, essendo costretti a fuggire alle persecuzioni.
Durante l’Esodo il cedro divenne il Perì ‘etz adar, ovvero ‘il frutto dell’albero più bello’, indicato da Jahvè a Mosè (Lev. 23,40)[8]. Nel Tanach[9] il Citrus Medica è citato ben 72 volte.
Il cedro è strettamente legato alla religione ebraica soprattutto perché è il protagonista di una festa, il Sukkoth o Festa delle Capanne (o dei Tabernacoli[10]) che si celebra intorno ai primi quindici giorni di ottobre.
All’inizio era la festa di fine raccolto in cui si gioiva per il lavoro compiuto e per i raccolti; oggi il Sukkoth rappresenta il ricordo della permanenza degli Ebrei nel deserto dopo la loro liberazione.
Il rituale prevede che si debba abitare per sette giorni una capanna (sukkà) costruita all’aperto con materiali vegetali e non fissata al suolo, con un tetto che permetta di vedere il cielo, a memoria della protezione che Dio concesse loro.
Poi, ogni giorno tranne il sabato, si deve agitare in ogni direzione un mazzetto tenuto nella mano destra composto da un ramo di palma dattifera[11], due rami di salice di fiume[12] e tre rami di mirto[13].
Nella mano sinistra invece si porta un cedro, l’etrog[14]; in un profumatissimo agrume si racchiude dunque la storia di un popolo.
Queste quattro piante simboleggiano quattro diversi tipi di uomini[15]; il cedro, il più importante, rappresenta l’uomo che opera bene seguendo gli insegnamenti della Torah[16].
Ricalcando le rotte tracciate dai coloni achei, tra il III e il II secolo a.C. gli Ebrei giunsero anche nelle mitiche terre di Metaponto, Sibari, Crotone sul Mar Ionio, e presso Posidonia (Paestum) e Laos[17] sul Mar Tirreno.
Fra la Calabria e il mondo ebraico sopravvive un forte legame che ruota attorno al cedro e alla sua coltivazione nella bellissima Riviera dei Cedri dove si produce ad oggi circa il 98% della produzione nazionale.
Il cedro ha trovato in questi luoghi di rara bellezza un microclima ideale per crescere; la varietà tipica della Riviera è il Liscio Diamante di Calabria.
Ancora oggi, ogni estate, i rabbini di molte comunità israelitiche giungono su questo tratto di costa tirrenica cosentina per cogliere i cedri più belli per il loro Sukkoth.
La loro è una raccolta molto meticolosa perché scelgono accuratamente ogni singolo cedro che verrà poi spedito in tutto il mondo.
Le prescrizioni dicono che il frutto deve essere di una pianta non innestata, di almeno 4 anni e non deve superare il metro e trenta d’altezza.
Deve essere perfetto, senza difetti della buccia, verde e conico, con l’apice sano, con un pezzo di peduncolo e deve conservare le vestigia del fiore; il cedro di Calabria per le sue caratteristiche soddisfa queste richieste.
Il cedro o Citrus Medica appartiene al genere Citrus, della tribù delle Auriantacee, famiglia delle Rutacee, ordine delle Terebintae; il nome deriva dalla volgarizzazione del termine latino citrus.
Non si sa bene se il cedro sia una specie a sé stante oppure una varietà di limone (Citrus Limonum, Risso) o addirittura il capostipite di questo agrume come pensano molti.
La pianta è di tipo arbustivo; presenta rami con spine aculeate e lunghe che la differenziano dal limone; è anche delicata e difficile da coltivare.
Le foglie hanno un picciolo lungo circa di 6-7 cm, coriacee di colore verde intenso nella pagina superiore e pallido in quella inferiore.
La pianta del cedro ha tre fioriture: una primaverile (tra marzo e maggio), una estiva (a giugno) e una tardiva (a settembre); quella estiva è la più importante e regala la migliore qualità del frutto.
Il cedro è un esperiedo che a seconda delle coltivazioni può raggiungere grandi dimensioni, con un peso che può variare dai 500 ai 600 gr fino ad arrivare a 1,50- 2,0 kg con una lunghezza di 20-30 cm.
La forma va dallo sferico all’ovale, la buccia è grossa e spessa, dura, rugosa e liscia, di colore giallo e punteggiata di ghiandole oleifere.
All’interno il cedro contiene poca polpa e una consistente parte bianca (albedo); ciò che si utilizza sono soprattutto la scorza e il succo.
Il cedro ha svariati impieghi soprattutto in cucina e in pasticceria ed è un vero e proprio concentrato di benessere per il nostro organismo.
Contiene tantissimi sali minerali e vitamine, in particolare vitamina C; è ricco di flavonoidi (antiossidanti), ha proprietà digestive, germicide, disinfettanti, stimolanti e lassative e soprattutto, ha pochissime calorie.
A Santa Maria del Cedro, paradiso delle cedriere della Riviera, è stato realizzato un museo che celebra questo prodotto raccontando la sua storia e la sua tradizione, sottolineandone la grande valenza culturale.
Questo museo sorge nello splendido opificio del XV-XVI secolo conosciuto col nome di Carcere dell’Impresa e istituito dal Consorzio del Cedro di Calabria.
Scopo del Museo del Cedro non è solo quello di valorizzare il cedro come produzione ma soprattutto renderlo elemento distintivo di tutto un territorio.
Negli spazi espositivi ‘tra coltura e cultura’ il cedro si fa portavoce di due percorsi, uno artistico e uno archeologico.
Il percorso artistico con i suoi pannelli ceramici è stato realizzato da maestranze locali e non e che nel realizzarli si sono ispirati alle citazioni letterarie, ai riferimenti biblici e al mondo ebraico.
Il percorso archeologico è invece basato sulla presenza del sito di Laos, colonia della Magna Grecia, e alle molte tracce che il passato ha lasciato indelebilmente in questa parte della Calabria.
Altro luogo di fascino e bellezza che merita una visita è la Grotta del Romito a Papasidero risalente al Paleolitico superiore, dove si conserva una delle più antiche testimonianze di arte preistorica in Italia.
Nella sala del Museo viene proiettato un documentario realizzato dalla RAI in cui si parla dell’importanza del cedro di Calabria per la religione ebraica.
Prima di arrivare nella sala degustazione e vendita dei prodotti è possibile ammirare una teca con un particolare cedro, detto ‘Mano di Buddha’.
Si tratta di una varietà che cresce in Cina, Giappone e India del Nord; la sua forma richiama quella di una mano con tante dita affusolate di un bel giallo brillante.
Queste protuberanze sono dovute ad una malformazione genetica che fa sviluppare gli spicchi separatamente.
Inoltre, lungo il passaggio, è stata posizionata una botte con il cedro in salamoia, il metodo di conservazione che precede quello della candidatura[18].
Infine il Laboratorio del Gusto del Museo del Cedro offre la possibilità ai suoi visitatori di degustare e acquistare le molte specialità, dal liquore all’olio al cedro, dalla marmellata ai canditi, dai biscotti ai cosmetici.
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Per informazioni:
Bibliografia e sitografia
Alfredo Mangone, La Via del Cedro di Calabria. Guida turistica sul Cedro di Calabria a cura del Consorzio del Cedro di Calabria, Consorzio del Cedro di Calabria