Una pianta millenaria diffusa in tutto il Mediterraneo, che nasce spontaneamente fra le crepe delle rocce e fra le spaccature dei muri, che ci regala un bocciolo fiorale dal sapore inconfondibile: il cappero e la famosa tradizione dell’isola di Pantelleria

Il capparo è una pianta spinosa, strata per terra in ritonda figura. Sono le sue spine ritorte, a modo d’hamo, come quelle de i rovi.

Produce le frondi tόde, simili a quelle de i pomi cotogni.

Il suo frutto è simile alle olive, il quale aprendosi produce un fiore bianco, dopo alquale vi rimane un certo che, come una ghianda lunga, il quale dimostra nell’aprirsi le granella, simili a quelle del melagrano, picciole e rosse.

Ha molte grandi, e legnose radici. Nasce in sottil terra, in luoghi aspri, nell’isole, e nelle rovine de gli edifici. Condiscesi il suo frutto, e ‘l fusto nel sale per uso de cibi”.

E’ così che nel XVI secolo l’umanista e medico senese Pietro Andrea Mattioli, nell’opera I discorsi ne i sei libri della materia medicinale di Pedaio Dioscoride presenta il cappero (καππαρις in greco, cãppare(m) in latino, e kabar in arabo): questo non è altro che il bocciolo fiorale della Capparis spinosa, una pianta classificata da alcuni autori nella famiglia autonoma delle Capparidacee e da altri inclusa nella sottofamiglia Capparoidee delle Brassicacee.

Si tratta di una pianta cespugliosa, legnosa con numerosi rami ascendenti, foglie picciolate alterne ovali e subrotonde, munite di due spine ricurve alla base del picciolo.

La pianta del cappero (Fonte: https://papilleclandestine.it/rubriche/capperi-cucunci-differenza/)

I fiori sono solitari, ascellari e appariscenti, con grandi petali bianchi o rosei, profumati, con stami numerosi a lunghi filamenti violacei di una rara bellezza, simili ad un piumino, che hanno piena fioritura tra giugno e luglio;

il suo frutto è una bacca ovale bislunga. Predilige i terreni calcarei, asciutti e ben esposti al sole. Nasce spontaneamente e si insedia nelle spaccature delle rocce e nelle fessure dei vecchi muri.

I meravigliosi fiori della Capparis spinosa

Originario del Nord Africa e di alcune zone dell’Asia, il cappero si è diffuso nell’area mediterranea da tempo immemorabile.

Oggi viene coltivato quasi in tutte le zone temperate del mondo, dall’Europa all’Australia fino alle isole del Pacifico.

In Italia le regioni che li coltivano maggiormente sono Liguria, Puglia, Campania e le isole.

Un accenno della sua presenza si trova nella Bibbia[1]: “quando si avrà paura delle alture e degli spauracchi della strada; quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto, poiché l’uomo se ne va nella dimora eterna e i piagnoni si aggirano per la strada”.

Conosciuti e utilizzati da secoli, ne parla anche Plinio che nella sua Naturalis Historia elenca vari tipi di cappero: dice che quelli che nascono in Arabia sono pestilenti, quelli africani nuocciono alle gengive, i pugliesi fanno vomito e muovono lo stomaco e il corpo; i celebri medici Dioscoride e Galeno esaltano le virtù della pianta soprattutto per le sue proprietà curative come ottimo diuretico, contro il mal di denti, e persino contro le durezze della milza e i vermini dell’orecchio.

Infine un altro autore di nome Domenico Romoli detto Panunto, scalco presso diversi signori, fra i quali Papa Leone X, nel suo famoso trattato culinario La singolar Dottrina del 1560, afferma che i capperi stimolino la passione sessuale[2] e mangiati in insalata facciano venire l’appetito.

Il Cappero di Pantelleria IGP

Il cappero più famoso d’Italia è quello di Pantelleria, che ha ottenuto il riconoscimento IGP, la cui varietà è la Inermis, cultivar Nocellara.

La piccola isola siciliana di origine vulcanica è caratterizzata da terreni e clima molto adatti alla coltivazione delle piante di cappero, che si sono diffuse ovunque; si presentano con boccioli fiorali di forma globosa, subsferica, in pochi casi lunga o conica, di colore verde tendente al senape. Hanno un profumo intenso e molto caratteristico, dal sapore aromatico e salato.

I famosi Capperi di Pantelleria IGP (Fonte: www.ilgiornaledelcibo.it/cappero-di-pantelleria/)

Tra la fine di maggio e gli inizi di settembre, il cappero inizia la fioritura ed è allora che si pratica la raccolta dei boccioli non ancora aperti e diventati fiore, che devono essere raccolti il prima possibile, non appena germogliano, anche perché quando sono piccoli e medio-piccoli, una volta maturati, diventano il prodotto qualitativamente migliore.

La produzione della pianta di cappero è scalare, vi è cioè la nascita di altri boccioli di diverse dimensioni dopo la raccolta dei primi (ogni 8-10 giorni), e il ramo della pianta continua regolarmente e costantemente la propria crescita.

La tradizione pantesca della coltivazione di questa pianta è ben visibile in tutta l’isola, ma è soprattutto nella parte meridionale, dove è stato costruito nei secoli un sistema di allevamento a terrazzamenti fatto di muri a secco, che questo territorio e il suo paesaggio è stato reso inconfondibile.

Anche il metodo di coltivazione è particolare: infatti i panteschi per incentivare la nascita di nuove piante sono soliti “sparare” con una cerbottana semi di cappero tra le fessure dei muri o fra le tegole di un tetto bene esposto al sole.

Le piante, una volta messe a regime produttivo (dopo circa tre anni dall’impianto), ricevono le stesse cure riservate alla vite: il terreno viene lavorato e concimato in inverno e i capperi vengono potati.

Dopo la raccolta vengono essiccati al sole e deposti in appositi tini di legno per una lenta maturazione in salamoia di circa una settimana: questo procedimento meticoloso è tramandato di padre in figlio e rappresenta la vera tradizione del cappero pantesco.

In questa fase si conferiscono al prodotto le sue qualità migliori, e cioè l’aroma, il sapore deciso e la sua consistenza carnosa; non possono essere consumati al naturale perché risulltano amari.

capperi devono essere conservati sotto sale e mai in aceto: quest’ultimo è utilizzato spesso come espediente commerciale, ma ne evidenzia scarsa qualità.

I cucunci, i frutti della pianta del cappero (Fonte: www.ilgiornaledelcibo.it/cappero-di-pantelleria/)

Del cappero si mangiano anche i cucunci, in dialetto siciliano, detti anche cetrioli del cappero: sono delle bacche oblunghe che contengono molti semi e quindi hanno poca polpa, ed altro non sono che i frutti, che si sviluppano se il bocciolo fiorale è lasciato maturare sulla pianta.

Capperi in cucina

Inutile dire che i capperi siano molto buoni, dal profumo e sapore inconfondibili.

Per utilizzarli in cucina basta lavarli per togliere il sale della conserva, lasciandoli in acqua per un po’ se li si vuole ancor meno salati;

sono ingredienti d’eccellenza di numerosi piatti tipici della gastronomia italiana dalla pasta alla puttanesca alla pizza napoletana, e sono ottimi per insaporire anche semplici insalate.

A Pantelleria preparazioni tipiche sono il Pesto alla Pantesca con cui si condiscono gli spaghetti, la Caponata Pantesca con le melanzane e l’Insalata Pantesca con patate lesse, pomodoro, insalata e sgombro.

Gli isolani sono soliti preparare anche una particolare frittura di capperi e patate e salse con nepitella (un’erba aromatica simile alla menta), mandorle e pecorino, per condire la pasta.

Ricetta del Pesto alla Pantesca (Fonte: www.ilovepantelleria.net)

Ingredienti:

  • 750 g. di pomodori grandi e maturi
  • 2 cucchiai colmi di Capperi di Pantelleria IGP
  • una manciatina di foglie di basilico e foglie di prezzemolo
  • 1 cucchiaio di origano secco (opzionale)
  • una manciata di mandorle pelate
  • 3 spicchi di aglio pelato
  • 1/2 bicchiere olio d’oliva extra vergine
  • peperoncino rosso piccante a piacere
  • sale q.b.

Procedimento:

Pelate i pomodori, sbollentandoli in acqua bollente, e poi privateli dei semi; spolverateli di sale e metteteli a perdere l’acqua in un colino a maglie fitte.

Pulite e lavate le erbe aromatiche e tritatele, e pelate l’aglio. Radunate in un mortaio le erbe tritate, le mandorle, l’aglio e i capperi (non dissalati) pestate il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo.

Se siete bravi con il pestello potete anche non tritare le erbe, ma il resto deve essere pestato per garantire corposità al pesto, se frullate il tutto il risultato è molto diverso.

Versate in una ciotola la polpa di pomodoro, il pestato, l’olio e il peperoncino rosso. Mescolate ed aggiustate di sale.

Fate riposare al fresco almeno un’oretta prima di gustare questo superlativo pesto pantesco.

 

Bibliografia e sitografia

Pietro Andrea Mattioli, I discorsi ne i sei libri della materia medicinale di Pedaio Dioscoride Anazarbeo, pag. 338

www.treccani.it

www.taccuinistorici.it

www.ciboitaliano.com

 

[1] Ecclesiaste, XII, 5

[2]la senape… accende la lussuria, i porri… commuovono il coito, i capperi… lo fan vivace“.

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Giulia Cosenza

Calabrese DOC, sommelier con master in Cultura dell'alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche

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